Le ristrutturazioni edilizie: a chi spettano
L’art. 16-bis del TUIR, in tema di detrazioni edilizie, si limita, quanto al requisito soggettivo, a menzionare i «contribuenti che possiedono o detengono, sulla base di un titolo idoneo, l’immobile sul quale sono effettuati gli interventi»), sicché, ai fini di una più precisa soluzione delle casistiche, è necessario far riferimento ai numerosi documenti di prassi emanati negli anni e alla giurisprudenza.
L’Agenzia delle Entrate ha precisato che possono beneficiare dell’agevolazione fiscale sugli interventi di recupero del patrimonio edilizio tutti i contribuenti assoggettati all’imposta sul reddito delle persone fisiche, residenti o meno nel territorio dello Stato[1], a condizione che possiedano o detengano, sulla base di un titolo idoneo, gli immobili oggetto degli interventi e ne sostengano le relative spese.
Non è necessario che il possesso di un titolo idoneo nonché la disponibilità dell’immobile, richiesti al momento del sostenimento delle spese che danno diritto alla detrazione, permangano per l’intero periodo di fruizione della detrazione stessa[2].
I soggetti legittimati sono:
- i proprietari o nudi proprietari (quindi sia le persone fisiche che quelle giuridiche);
- i titolari di un diritto reale di godimento quale usufrutto, uso, abitazione o superficie;
- i detentori (locatari, comodatari) dell’immobile[3];
- i familiari conviventi del possessore o del detentore;
- il coniuge separato assegnatario dell’immobile intestato all’altro coniuge[4];
- i conviventi di fatto di cui all’art. 1, commi 36 e 37, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (c.d. legge Cirinnà), purché l’immobile sia adibito a loro residenza e sostengano le spese per i lavori;
- il futuro acquirente[5], se è stato stipulato un preliminare registrato.
Nel caso di vendita dell’immobile sul quale sono stati eseguiti interventi di recupero edilizio, le agevolazioni fiscali non utilizzate dal venditore possono essere trasferite all’acquirente, a condizione che ciò sia esplicitamente previsto nell’atto di compravendita.
Nessun obbligo di registrazione del contratto di comodato per fruire delle detrazioni edilizie: recenti pronunce giurisprudenziali in opposizione alla prassi del Fisco
Il comodatario, in quanto titolare di un diritto personale di godimento di un immobile, ma non detentore del diritto di proprietà, secondo la prassi dell’Agenzia delle Entrate può beneficare delle detrazioni delle spese per gli interventi edilizi solo se in possesso di un contratto registrato avente una data anteriore all’inizio dei lavori e della dichiarazione di assenso ai lavori da parte del proprietario.
La Circolare n. 17/E/2023 del 26/06/2023, in particolare, proprio riferendosi alla figura del detentore, specifica che «La detrazione spetta ai detentori dell’immobile, a condizione che siano in possesso del consenso all’esecuzione dei lavori da parte del proprietario e che la detenzione dell’immobile risulti da un atto (contratto di locazione, anche finanziaria, o di comodato) regolarmente registrato al momento di avvio dei lavori e sussista al momento del sostenimento delle spese ammesse alla detrazione, anche se antecedente il predetto avvio».
Se, dunque, questa è la tesi ribadita dall’Agenzia delle Entrate, si evidenzia un interessante “cambio di rotta” della giurisprudenza, anche recente.
Si richiama sul punto sentenza 831/2 del 22/6/2021 della Corte di Giustizia Tributaria del Veneto, con cui si consente la possibilità di beneficiare delle detrazioni per le spese di ristrutturazione edilizia anche in presenza di un contratto di comodato non registrato.
L’esistenza di un rapporto di comodato, seppur non registrato, dunque, costituisce per i giudici veneti un titolo idoneo e legittimo per usufruire delle detrazioni fiscali per gli interventi di ristrutturazione edilizia, se supportato da evidenti prove fornite dal contribuente in relazione alla sua qualifica di comodatario dell’immobile oggetto degli interventi agevolati. L’appellante, in tal caso, ha infatti allegato atto di notorietà e certificazione anagrafica relativa allo stato di convivenza more uxorio con la proprietaria dell’appartamento cui è riferito l’accertamento, che giustificherebbe la concessione in comodato dello stesso. Inoltre il contribuente ha fornito copia delle utenze allo stesso intestate, nonché istanza relativa alla Tia con tanto di pagamenti effettuati, che dimostrano il possesso dell’appartamento stesso.
Sul punto si richiama anche la recente sentenza n. 2120 del 27/05/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Caserta la quale, anch’essa, conferma l’impostazione sopra descritta. Nel caso di specie, il ricorso della contribuente, detentrice di un immobile in ragione di un contratto di comodato non registrato, viene ritenuto fondato dai giudici in quanto è stata ampiamente dimostrata la detenzione mediante allegazione di certificato di residenza storico oltre che delle varie bollette dell’utenza elettrica mentre, invece, viene ritenuto illegittimo il diniego dell’amministrazione, espresso in base all’unico motivo della mancata registrazione del contratto di comodato verbale.
Ed invero, la norma istitutiva delle detrazioni Irpef spettanti per gli interventi volti al recupero edilizio (art.16-bis del TUIR), nel riconoscere il diritto alle agevolazioni fiscali anche a vantaggio dei detentori, non dispone alcun obbligo di registrazione del contratto di comodato stipulato in forma verbale.
L’art. 3, comma 1 del DPR 131/86, in materia di contratti verbali che devono essere registrati in termine fisso, non menziona il comodato, il quale, anche con riferimento a beni immobili, tranne nell’ipotesi di enunciazione in altri atti, non deve essere sottoposto a registrazione se non volontariamente (o se enunciati in altri atti da sottoporre a registrazione, se ricorrono i presupposti dell’art. 22 del TUR).
Tali principi, specificano i giudici di Caserta, sono inseriti e richiamati nella risoluzione n. 71/2006 dell’Agenzia delle Entrate, la quale, nella circolare n. 36/2007, ha precisato che possono usufruire dell’agevolazione coloro che detengono l’immobile in base ad un titolo idoneo, che può consistere anche in un contratto di comodato, senza individuare ulteriori oneri in capo al soggetto passivo.
Dal punto di vista normativo, giova evidenziare che il codice civile non richiede alcuna forma per la conclusione del contratto di comodato[6], anche se relativo a beni immobili, e pertanto la sua conclusione può avvenire legittimamente e validamente anche in forma verbale, addirittura anche tacitamente. Inoltre, se il bene immobile è dato in comodato d’uso da una parte a un’altra dietro accordo verbale, la registrazione non è richiesta, eccetto che per il caso, già richiamato in precedenza, in cui il comodato sia enunciato in un altro atto soggetto a registrazione.
Dunque, la registrazione del contratto di comodato rappresenta solo uno dei modi alternativi per provare l’esistenza e l’anteriorità del possesso dell’immobile rispetto alla data di inizio dei lavori, la quale però ben può essere provata anche con modalità alternative, come già chiarito da Cass., 18 maggio 2021, ord. n. 13424[7].
Consegue che si può desumere ed accertare la detenzione da altri elementi di fatto, quali l’intestazione di utenze e la residenza anagrafica, ricorrenti in entrambi i casi esaminati dalle Corti di merito.
In conclusione, è possibile affermare che la giurisprudenza tributaria, sia di merito che di legittimità, si sta orientando nel ritenere che l’esistenza di un idoneo titolo per l’accesso a tali detrazioni fiscali, come il comodato, possa essere dimostrata anche attraverso altri elementi diversi dalla registrazione del contratto stesso e che, dunque, la mancata registrazione del contratto di comodato possa essere superata attraverso la produzione di altra documentazione in grado di fornire, con sufficiente grado di certezza, il possesso dell’immobile da parte del contribuente prima dell’inizio del lavori edilizi.
a cura di Cristina Rigato e Giorgia Sarragioto
per il Centro Studi Deotto Lovecchio & Partners
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[1] Circolare 24.02.1998 n. 57, paragrafo 2.
[2] Circolare n. 17/E/2023 del 26/06/2023.
[3] Circolare 24.02.1998 n. 57, paragrafo 2.
[4] Circolare 09.05.2013 n. 13/E, risposta 1.2
[5] Risoluzione 08.02.2008 n. 38/E.
[6] Art.1803 c.c.
[7] Allo stesso modo, Cass. n. 7644/2022 ha escluso che la possibilità di dichiarare il canone consensualmente ridotto discenda necessariamente dalla registrazione del relativo patto, perché al fine di dimostrare la riduzione può considerarsi sufficiente la documentazione bancaria prodotta dal contribuente da cui si evinca il versamento da parte della conduttrice di una somma minore di quella inizialmente pattuita.